i santi patroni e le figure di santità della nostra diocesi
San Gregorio Illuminatore
(Armenia, 257 circa – 332 circa)San Gregorio è stato un vescovo cristiano orientale e santo armeno, apostolo degli armeni, fondatore e santo patrono della Chiesa apostolica armena. È venerato come santo anche dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa copta e dalla Chiesa ortodossa, che lo ricorda il 30 settembre. Apparteneva alla dinastia reale degli Arsacidi, per parte di padre, un parto di nome Anak che assassinò il sovrano armeno Cosroe I.
Sua madre era un’armena di nome Okohe e gli agiografi attribuiscono che la prima influenza cristiana ricevuta da San Gregorio al luogo della nascita, avvenuta vicino ad un monumento eretto in onore di san Giuda Taddeo. Rifugiatasi in Cappadocia per sfuggire alla persecuzione dei sovrani arsacidi, la famiglia si stabilì a Cesarea, dove Gregorio venne educato da un nobile convertito al cristianesimo, di nome Eutalio.
Giunto alla maggiore età, dopo essersi sposato con Mariam, figlia di un nobile dell’Armenia Minore, dalla quale ebbe due figli, Vrtanes e Aristakes, Gregorio cercò di introdurre la religione cristiana nel suo paese natale. All’epoca del suo ritorno nella terra natale, l’Armenia aveva come sovrano Tiridate III d’Armenia, figlio di quel Chosroe I che suo padre aveva ucciso.
Tiridate, educato a considerare i cristiani come disturbatori della società e della religione, Tiridate perseguì i primi missionari cristiani in Armenia, e in particolar modo l’efficace campagna del predicatore Gregorio, che aveva fatto molti proseliti. Egli ordinò perciò d’imprigionare Gregorio nella fortezza-prigione di Khor Virap, nella città di Artashat, dove il predicatore rimase per ben tredici anni.
La leggenda cristiana vuole che a seguito delle sue persecuzioni contro i cristiani, il re armeno venisse colto da una terribile malattia, dalla quale nessun medico di corte riusciva a curarlo. Quando la sorella del re ebbe un sogno che le parlò dei poteri miracolosi del predicatore imprigionato nelle segrete, il re (sempre secondo la leggenda cristiana) rifiutò inizialmente la proposta, ma alla fine cedette e venne guarito prontamente per intercessione di Gregorio.
A quel tempo Gregorio, che era un semplice monaco, andò a Cesarea per ricevere dal metropolita Leonzio la consacrazione di Katholikos e Patriarca d’Armenia, diventando così la figura primaria della nuova comunità religiosa cristiana. In tutta l’Armenia vennero costruite chiese, conventi e scuole cristiane con la benedizione e l’aiuto economico del sovrano. La più importante di queste città fu Echmiadzin, che divenne il fulcro della cristianità armena.
Gregorio continuò la sua campagna di evangelizzazione per diversi anni, rischiando spesso la vita a causa delle continue minacce dei vari signori locali ancora fedeli alla religione pagana, ma alla fine si ritirò sulle montagne di Akilisene, dove continuò a vivere come un asceta. Affidò l’amministrazione della comunità cristiana a suo figlio Aristakes che era stato consacrato sin dal 318, in qualità di vescovo d’Armenia, Aristakes partecipò nel 325 al Concilio di Nicea, proclamato dall’imperatore Costantino I per discutere e fissare alcuni importanti punti della fede cristiana.
Nello stesso anno, Gregorio morì in solitudine sul monte Sepouh. Suo figlio Aristakes venne ucciso successivamente nel 333 a Sofene da Archelao, un funzionario al servizio di Roma, al suo posto, in qualità di III Katholikos fu eletto suo fratello Vrtanes che coprì l’incarico dal 333 al 341. Entrambi vennero canonizzati santi dalla Chiesa apostolica armena
Sant'Agata
(San Giovanni Galermo o, secondo altre fonti, Palermo, 8 settembre 229 / 235 – Catania, 5 febbraio 251)S. Agata è stata, secondo la tradizione cattolica, una giovane vissuta nel III secolo, durante il proconsolato di Quinziano. Dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa viene venerata come santa, vergine e martire.
Secondo la leggenda la santa nacque in una famiglia siciliana ricca e nobile, nell’anno 235, indicata come di origine palermitana, ma da altre fonti catanese. Agata, assieme a santa Cristina, santa Ninfa e sant’Oliva, è una delle quattro sante protettrici della Città Felicissima ossia Palermo, caput regni et sedis regis della Sicilia (Santa Rosalia nascerà nel XII secolo).
I documenti narrativi del martirio di Agata indicano però in tre punti che, sebbene possa essersi rifugiata a Palermo alla Guilla, la Santa è nata a Catania: il primo punto è quello relativo all’inizio del processo, secondo il testo fornito dalla redazione latina. Tale redazione esordisce rilevando nel vers. 1 che Agata fu martirizzata a Catania; nel vers. 24 la stessa redazione latina riferisce che Quinziano interpella Agata invitandola a dire di che condizione fosse, e nel vers. 25 riferisce che Agata rispose a Quinziano dicendo: “Io non solo sono libera di nascita, ma provengo anche da nobile famiglia, come lo attesta tutta la mia parentela”: con queste parole Agata dichiara che tutta la sua parentela era presente e residente a Catania, oltre a esservi residente lei stessa e a essere nativa proprio di lì. Il secondo punto è quello relativo all’apparizione dell’Angelo che, nel momento in cui il cadavere di Sant’Agata viene seppellito, depone dentro il suo sepolcro una lapide di marmo in cui era scolpito che Agata era “anima santa, onore di Dio e liberazione della sua Patria”: a tale proposito i versetti 102-104 rilevano che, per dimostrare la verità di quanto espresso in quella lapide e cioè che Agata era la liberazione della sua Patria, Dio, a un anno appena dalla sua morte, fa arrestare la lava dell’Etna, che stava invadendo Catania. II terzo punto è quello relativo al fatto che il testo della redazione greca, riportato nel manoscritto del Senato di Messina, espressamente recita che “Catania è la patria della magnanima S. Agata”: tale testo è di assoluto valore storico perché risale all’epoca in cui a Catania ancora non era stato eretto alcun tempio ad Agata.
Secondo la tradizione cattolica Sant’Agata si consacrò a Dio all’età di 15 anni circa, quando fece questa richiesta al Vescovo di Cataniache accolse il suo desiderio e le impose il velo rosso portato dalle vergini consacrate. Però studi storico-giuridici approfonditi rivelano, al momento della sua morte, un’età non inferiore ai 21 anni: non prima di questa età, infatti, una ragazza poteva essere consacrata diaconessa come effettivamente era Agata, cosa documentata dalla tradizione orale catanese, dai documenti scritti narranti il suo martirio e dalle raffigurazioni iconografiche ravennate, con particolare riferimento alla tunica bianca e al pallio rosso; possiamo quindi a ragione immaginare che, sebbene si fosse consacrata a Dio a 15 anni grazie al consenso speciale del Vescovo, non fosse più una ragazzina al momento del martirio, ma piuttosto una donna con ruolo attivo nella sua comunità cristiana: una diaconessa aveva infatti il compito, fra gli altri, di istruire i nuovi catecumeni alla fede cristiana (catechesi) e preparare i più giovani al battesimo, alla prima comunione e alla cresima. Ciò porterebbe a retrodatare di almeno sei anni la data di nascita, che tradizionalmente si colloca all’8 settembre 235, poiché si riteneva fosse morta a 15 anni il 5 febbraio 251.
Nel periodo fra la fine del 250 e l’inizio del 251 il proconsole Quinziano, giunto alla sede di Catania anche con l’intento di far rispettare l’editto dell’imperatore Decio, che chiedeva a tutti i cristiani di abiurare pubblicamente la loro fede, mise in atto una persecuzione feroce. La tradizione riferisce che Agata fuggì con la famiglia a Palermo, alla Guilla, ma Quinziano li scovò e li fece tornare a Catania. Il punto che la giovane catanese attraversò per uscire da Palermo e tornare alla sua patria, oggi è detto Porta Sant’Agata. Quando la vide di presenza, Quinziano s’invaghì della giovinetta e, saputo della consacrazione, le ordinò, senza successo, di ripudiare la sua fede e adorare gli dèi pagani. Si può ipotizzare, coesistente a ciò, anche un quadro più complesso: ovvero, dietro la condanna di Agata, la più esposta nella sua benestante famiglia, poteva esserci l’intento della confisca di tutti i loro beni. Di certo, era un contesto storico estremamente drammatico per i cristiani: Papa Fabiano era morto, ucciso, da più di un anno, la sede era vacante, e il successore Cornelio sarebbe stato eletto ben 14 mesi dopo il suo martirio.
Al rifiuto deciso di Agata, il proconsole l’affidò per un mese alla custodia rieducativa della cortigiana Afrodisia e delle sue figlie, persone molto corrotte. È probabile che Afrodisia fosse una sacerdotessa di Venere o Cerere, e pertanto dedita alla prostituzione sacra. Il fine di tale affidamento era la corruzione morale di Agata, attraverso una continua pressione psicologica, fatta di allettamenti e minacce, per sottometterla alle voglie di Quinziano, arrivando a tentare di trascinare la giovane catanese nei ritrovi dionisiaci e relative orge, allora molto diffuse a Catania. Ma Agata, in quei giorni, a questi attacchi perversi che le venivano sferrati, contrappose l’assoluta fede in Dio; e pertanto uscì da quella lotta vittoriosa e sicuramente più forte di prima, tanto da scoraggiare le sue stesse tentatrici, le quali rinunciarono all’impegno assunto, riconsegnando Agata a Quinziano.
Rivelatosi inutile il tentativo di corromperne i principi, Quinziano diede avvio a un processo e convocò Agata al palazzo pretorio. Memorabili sono i dialoghi tra il proconsole e la santa che la tradizione conserva, dialoghi da cui si evince senza dubbio come Agata fosse edotta in dialettica e retorica.
Breve fu il passaggio dal processo al carcere e alle violenze con l’intento di piegare la giovinetta. Inizialmente venne fustigata e sottoposta al violento strappo delle mammelle, mediante delle tenaglie. La tradizione indica che nella notte venne visitata dal Primo Papa, San Pietro, che la rassicurò e ne risanò le ferite. Infine venne sottoposta al supplizio dei carboni ardenti. La notte seguente all’ultima violenza, il 5 febbraio 251, Agata spirò nella sua cella.